Il sommo poeta

Dante e l’immigrazione: un’eco di 700 anni. Il poeta vedrebbe sulle calde coste africane un’insegna come quella da lui descritta nei primissimi versi del III canto, qualcosa che informi dell’imminente passaggio in un mondo diverso, marchiato a fuoco dal tormento. In seguito, alla vista di scafi brulicanti divorati dalle onde, verrebbe travolto dalla lampante realtà di una «città dolente», di un «eterno dolore», di «perdute genti», un’evidenza che non ha bisogno di essere annunciata.